Avete mai sentito parlare di dislessia? Sicuramente sì, ma forse non tutti sanno esattamente di che cosa si tratta e da cosa deriva.
La dislessia fa parte dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, identificati con l’acronimo DSA, e si riferisce alla difficoltà di lettura in termini di velocità e correttezza. Come si può quindi riconoscere un bambino dislessico?
Un bambino dislessico legge lentamente, sillabando le parole e compie molti errori di decodifica, ovvero confonde le lettere simili, come “a” ed “e”, inverte l’ordine delle lettere, come “fargola” per “fragola”, oppure ne aggiunge o ne omette.

I bambini dislessici per leggere devono impegnare al massimo le loro capacità e le loro energie e può succedere che arrivati alla fine del testo non ne abbiano compreso il contenuto perché l’energia non è sufficiente sia per leggere che per comprendere.
Ma da che cosa deriva esattamente la dislessia?
La dislessia non è una malattia, bensì una caratteristica, nello specifico una “neurodiversità”. In pratica il cervello di un dislessico, durante il processo di lettura e scrittura lavora in modo diverso rispetto a un cosiddetto “normo lettore-scrittore”.
Questo perché non riesce appieno nel processo di riconoscimento del fonema, la più piccola unità di suono all’interno della parola, che è uno dei requisiti fondamentali per l’apprendimento della lingua scritta.
Nonostante ciò, i bambini dislessici sono intelligenti, a volte addirittura al di sopra della media e sono solitamente molto creativi, anche nel trovare le strategie più adatte a compensare le loro difficoltà.

Accanto alla dislessia possono manifestarsi anche gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ovvero la disortografia, che si presenta sotto forma di errori ortografici, la disgrafia, che riguarda la scrittura poco leggibile, e la discalculia, il disturbo delle abilità di calcolo.
È bene specificare che queste difficoltà emergono nel momento in cui comincia la scolarizzazione, quindi dai 6 anni, ma esistono dei fattori di rischio che ci permettono di prestare particolare attenzione ai bambini più fragili anche prima.

Innanzitutto la presenza di un ritardo nello sviluppo del linguaggio e di conseguenza le difficoltà di pronuncia, sillabazione ma anche di denominazione di oggetti e di apprendimento dei numeri, dei colori, dei giorni della settimana e delle forme. Ma altri fattori di rischio sono anche la difficoltà nel seguire più indicazioni e routine, nei compiti di motricità fine (ritagliare, infilare perline,…) e di coordinazione (goffo nei movimenti), nonché nel mantenere l’attenzione.

Per quanto riguarda la dislessia e i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, è interessante osservare i dati che riguardano l’Italia e i paesi anglofoni.
In Italia circa il 4% della popolazione è dislessico, mentre nei paesi anglofoni questa percentuale sale al 10%. Ma a cosa è dovuta questa differenza?
Possiamo ritrovare la risposta nelle caratteristiche proprie della lingua inglese. Infatti, l’inglese è una lingua complessa dal punto di vista fonologico, basti pensare che le lettere dell’alfabeto sono 26 ma i suoni che si possono produrre sono ben 45.
Si intuisce quindi che non esiste una chiara corrispondenza tra grafema (segno) e fonema (suono) e questo diventa un problema per un dislessico dal momento che fa fatica proprio nel riconoscimento del fonema all’interno della parola.
La lingua inglese è infatti definita una lingua “opaca”, proprio per questa relazione complessa tra grafema e fonema e per distinguerla da lingue come l’italiano che sono invece “trasparenti”.

Nell’alfabeto italiano sono presenti 21 lettere a cui sono associati 28 suoni, con una relazione quasi di uno a uno. Ma c’è un altro aspetto interessante che marca questa differenza tra le due lingue ed è il raggiungimento della padronanza della letto-scrittura.
In Italia i bambini cosiddetti normolettori, ovvero senza difficoltà di apprendimento, acquisiscono questa abilità alla fine della prima classe della scuola primaria.

Nei paesi anglofoni ciò accade alla fine della classe terza della scuola primaria, ovvero due anni dopo, hanno perciò bisogno di molto più tempo per padroneggiare della loro lingua a livello scritto.
Riflettendo su questi dati, risulta abbastanza chiaro che per un bambino con dislessia o comunque con difficoltà di apprendimento, l’apprendimento della lingua inglese è un processo faticoso, ma non impossibile. Si può infatti sfruttare molto di più l’oralità e lavorare sulla consapevolezza fonologica della lingua.
Ancora una volta, prima si parte e meglio è, ovvero esporre i bambini il prima possibile alla lingua per sfruttare gli anni del cosiddetto “periodo critico” e lavorare molto sui suoni della lingua.

In questo il metodo Pingu’s English è l’ideale, essendo elaborato per essere proposto ai bambini fin dai primissimi anni di vita. È inoltre efficace per insegnare l’inglese anche ai bambini con dislessia, grazie alla modalità multisensoriale e all’attenzione posta alla formazione degli insegnanti su come lavorare con bambini con dislessia e con difficoltà di apprendimento.

Dott.ssa Anna Fabris
Linguista e Tecnico dell’Apprendimento
annafabris86@gmail.com